giovedì 31 maggio 2007

Un bel cane

Ulisse era un cane dalmata, che da sempre viveva in città accudito con molto amore. I suoi padroni, a un certo punto, furono costretti a disfarsene per motivi di forza maggiore, ed io lo presi con me, d'accordo con la mia famiglia.
Tuttavia Ulisse rimase con noi pochissimo perché abitavamo in una casa nella quale non potevamo tenerlo, non avendo sufficiente spazio a disposizione. Fu così che allora lo condussi in appennino, da un mio conoscente, perché ero sicuro che sarebbe stato trattato benissimo.
Infatti, una volta giunto in quel casolare, oltre ad essere amato e coccolato dal suo nuovo padrone, Ulisse divenne in breve amico di tutti. Il borgo era abitato da persone anziane, sempre liete di accoglierlo nelle loro case quando, tutte le mattine, faceva una lunga passeggiata nei sentieri circostanti, libero di muoversi come desiderava.
Una volta all'anno, d'estate, tornavo in quel borgo, perché amavo camminare attraverso i boschi, e in queste circostanze Ulisse mi accompagnava pazientemente. Ogni tanto, durante le mie passeggiate, avevo l'abitudine di riposarmi sempre negli stessi posti; ebbene, Ulisse aveva imparato dove ero solito sedermi, tanto che mi precedeva correndo fino al luogo prescelto.
Adesso Ulisse non c'è più. Quando mi capita di tornare in quel borgo, non compio più le medesime passeggiate perché mi manca vederlo correre davanti a me, felice e vivace.

martedì 29 maggio 2007

Il sentiero

C'è un sentiero scosceso particolarmente amato da me, tanto che qualche volta abbandono la caotica città per raggiungerlo. Ho notato con gioia che non ha conosciuto mutamenti, se si esclude il fatto che è diventato più selvaggio essendo poco frequentato.
A fine inverno, nei soliti spiazzi nei quali il sole riesce a penetrare, spuntano delicate primule gialle le cui foglie sono di un verde intensissimo. A primavera le siepi circostanti sono rallegrate da varie specie di piccoli volatili, che qui, oltre al nido, trovano cibo.
Poi arriva l'estate: un'esplosione di vivaci colori, di fiori, di siepi e di rami colmi di bacche e di frutta selvatica. Quando torna l'autunno è il momento della pace: la luce del sole appare più umana, più dolce e pacata. Dopo sarà la volta dell'inverno che coprirà tutto con la neve.
Mentre salgo mi afferra l'impressione che i sassi del sentiero, i quali conoscono tutti i segreti della gente che lo ha percorso, mi osservino e mi riconoscano, e pensino che dopo tanti anni sono stati calpestati da un passo un po' più stanco, ma amico.

domenica 27 maggio 2007

Il primo gelato

Eravamo negli anni '50 ed io ero soltanto un bambino. La prima domenica d'agosto in paese festeggiavamo la Madonna della Neve, tutti in fila sul sagrato della chiesa in attesa della processione.
Ebbene, una volta accadde un fatto particolare. Dopo la processione andammo tutti in piazza, dove in un angolo si trovava un uomo anziano con un contenitore di rame colmo di gelato. Lo ammetto: era la prima volta che in paese compariva il gelato, che nessuno di noi aveva mai assaggiato prima. Era quindi un vero evento.
Ci mettemmo in fila tutti contenti. Quando io lo assaggiai lo trovai un po' "acquoso", o almeno questa fu la mia impressione di bambino. L'ultimo della fila, un umarell spilungone di circa settant'anni, scalpitava perché non vedeva l'ora che arrivasse il suo turno. Era stato il parroco, oltretutto, a dargli il denaro per comprare il gelato.
Quando finalmente riuscì ad assaggiarlo, rimase muto per qualche secondo poi, improvvisamente, lo scagliò in faccia al venditore e gli disse: "Adesso che è diventato freddo, mangialo tu!".

sabato 26 maggio 2007

Gli gnomi e l'eremita

Nelle foreste della Garfagnana vivono ancora gli gnomi. Io so dove, ma non ve lo rivelo.
Tempo fa, un eremita di nome Gaudenzio si ritirò a vivere, in queste foreste, in un incavo di un antico castagno, che divenne così la sua dimora. Non lontano, vivevano nelle loro piccole e graziosissime casette gli gnomi.
Quel sant'uomo si nutriva di frutta selvatica, di erbe e di radici, e trascorreva la maggior parte della giornata a pregare. Gli gnomi erano a conoscenza di questa presenza nelle loro foreste, ma gli era gradita.
Improvvisamente capitò che gli gnomi non vedessero più l'eremita per molti giorni. In seguito a ciò si preoccuparono e con discrezione e garbo, come solo gli gnomi sanno fare, da un buco sul retro del castagno osservarono il povero eremita e si resero conto che era molto malato. Allora si riunirono nell'apposita saletta e giunsero alla conclusione che quel sant'uomo aveva bisogno d'aiuto.
Raccolsero presso di sé i loro piccoli animali da latte, minuscole caprette, mucche e pecore, e gli raccomandarono di mangiare erbe speciali per poter offrire un latte nutriente. Prepararono un tappeto di felci e di muschio presso il castagno e posero i loro piccolissimi recipienti colmi di latte, mentre altri gnomi arrivavano con infusi di erbe e radici speciali. Quando l'eremita uscì, e vide questo ben di Dio, pensò al miracolo.
Dopo molti anni, tornato al convento, non raccontò nulla di questo fatto. Ormai vecchio e malato, era curato da un monaco di nome Lucrezio, il quale amava sostare davanti alla finestrella della cella per guardare i boschi tutt'intorno. Improvvisamente, un giorno, colmo di stupore Lucrezio si rivolse a Gaudenzio, e tutto d'un fiato esclamò: "Ci sono dei piccoli uomini bellissimi, con degli zainetti colmi di qualcosa, e guardano verso la tua cella".
Gaudenzio, allora, fece appena in tempo a sussurrare: "Sono mandati dal Signore". Poi spirò.

martedì 22 maggio 2007

Il ginepro

I ginepri sono conifere sempre verdi. Si tratta di cespugli o di alberelli, alti al massimo 10 metri, i cui tronchi sono dritti e snelli. Si trovano soprattutto nei pascoli e nei boschi.
Il ginepro presenta falsi frutti carnosi, rotondi (detti "coccole"), grandi come piselli e simili a bacche. Da queste si può ricavare un'acquavite, mentre il legno è frequentemente usato per ricavarne bastoni.
In passato, quand'ero bambino e vivevo in appennino, usavamo il ginepro per fare gli alberi di Natale. Quando poi le nostre madri cuocevano il pane, usavano i rami del ginepro per l'ultima fiammata, proprio perché gli aghi bruciano in fretta.

domenica 20 maggio 2007

La gita












In una bella giornata di primavera, tre amici d'osteria di una minuscola frazione del Frignano parteciparono ad una gita organizzata dal parroco del paese. La meta designata era un bel santuario fuori regione.
Siccome per tutte e tre i compagni d'osteria si trattava del primo viaggio al di fuori del luogo in cui erano nati, partirono alle sei della mattina in preda ad una forte eccitazione.
Giunti al santuario, con il sacerdote che guidava tutta la comitiva e spiegava la storia del luogo, i tre sembrarono particolarmente attenti e concentrati. Tuttavia, al momento di ripartire non si fecero trovare nel piazzale della corriera. Il sacerdote, preoccupatissimo, non sapeva cosa fare, ma l'autista della corriera intervenne invitando tutti a rasserenarsi poiché i tre si trovavano in un'osteria poco lontano, a cantare e a bere.
Il giorno dopo la gita, s'incontrarono sempre nel bar del loro paesino. Davanti a molte bottiglie di vino se ne stavano tranquilli. Dopo che ebbero fatto "il pieno", l'oste domandò loro: "Vi è piaciuta la gita?E com'era il santuario?". E uno dei tre rispose: "Si stava veramente bene: il vino era buono".

giovedì 17 maggio 2007

La grande abbuffata dell'umarell


Un vispo umarell decide un giorno di andare in gita in appennino, per fare ciò che preferisce nella sua vita da pensionato: mangiare e bere in qualche bella trattoria.
Parte così con un amico buongustaio quanto lui e si reca in macchina in un ameno paesino del Frignano, per abbuffarsi di ottimi salumi, buoni formaggi, tortellini, tortelloni, lasagne e, quando la stagione lo consente, funghi porcini. Qui siamo al confine con la Toscana, dove si beve poco Lambrusco, e quindi l'umarell deve bere un vino un po' più forte, che probabilmente avrà alcune conseguenze sul suo umore.
Fra una porzione e l'altra, fra canti, chiacchiere e pettegolezzi, giunge presto la sera, il momento nel quale il goloso umarell deve fare ritorno alla sua dimora nella piatta pianura. Il viaggio si presenta leggermente arduo fin dal principio, a causa dell'ingente abbuffata. Il buon umarell e il suo amico devono fermarsi a metà strada per "liberarsi" dagli eccessi, diciamo pure per "rimettere" parte del contenuto del loro stomaco.
L'umarell protagonista giunge a casa in condizioni semi-pietose, ma sua moglie, ormai dolorosamente avvezza a questo stato di cose, non se ne dà pena. Durante la notte, l'umarell inizia il suo triste pellegrinaggio fra la camera da letto ed il bagno, senza trovare pace né ristoro. Poi si rende necessario il ricorso al 118. Giunto in ospedale, finalmente viene completamente svuotato.
Il giorno dopo, il suo amico un po' meno acciaccato va a trovarlo per recargli conforto. Naturalmente i due, del tutto indifferenti al malessere che li ha colpiti, si danno appuntamento per il giorno dopo, alle 21, per andare al Festival dell'Unità dove, così dicono, "si mangia bene e si paga poco". Pronti dunque per un'altra abbuffata.

mercoledì 16 maggio 2007

L'umarell al parco

Già ora, a maggio, il sole padano è implacabile. Non dà alcuna via di scampo, ti segue in tutte le direzioni. Ci si vergogna persino a guardare il cielo, color bianco latte ma "sporco". Non si vedono neppure colline o montagne in lontananza ad interrompere la pianura.
Prendo la bicicletta e mi dirigo verso un parco cittadino (che purtroppo non è certo quello della foto). Mi siedo su una panchina, vicino ad una fontana d'acqua, riparato dal verde tutt'intorno. Mi sembra di essere chissà dove.
Improvvisamente la quiete viene turbata dal rumore di una bicicletta che si blocca, chissà perché, proprio di fronte a me. Ne scende un autentico umarell ultrasessantenne, addirittura abbigliato da classico umarell che più umarell non si può: pantaloni corti, sandali, canottiera color senape, vene varicose gonfie, zanzare vicine in attesa che si sieda per poterlo pizzicare sulle nude gambe. Sorriso largo, sacchetto di plastica rigorosamente coop in mano, bestemmia come saluto.
Sopporto alcuni minuti, poi, con una scusa qualsiasi, me ne vado. Addio quiete!

lunedì 14 maggio 2007

Le rose della Madonnina

La sorella di mia nonna, alla quale ero molto affezionato, si chiamava Teodora, ed era nata nel 1893.
Nella sua lunga vita (morì infatti nel 1988), non si sposò mai, e, almeno per quanto ne so, non ebbe mai un fidanzato. Visse sempre da sola, in una casa costituita da due stanze, ed in una remota zona del paese del Frignano in cui sono nato.
Teodora era una sarta. Svolgeva il suo lavoro direttamente nelle case dei suoi clienti, dove trascorreva anche intere settimane cucendo e aggiustando gli abiti di chi l'ospitava.
Aveva abitudini molto regolari. Andava a dormire al tramonto del sole, mangiava pochissimo ed era molto religiosa. Tutte le mattine, infatti, si recava alla messa delle sei, affrontando un lungo tragitto da casa sua fino alla Chiesa, situata nel centro del paese.
Di fianco alla sua abitazione, c'era un piccolo appezzamento di terra sassoso, e un vecchio fico e rose selvatiche che lei curava con molto amore. Roselline delicate, dai colori tenui, modeste e quasi timide. Sembrava che avessero timore del vento.
Quando andavo a trovarla, la zia Teodora mi preparava l'orzo e immancabilmente mi regalava un sacchetto di mele durelle, fatte a pezzettini e seccate al sole. Era il regalo che preferivo.
Una volta mi disse di aver chiamato un uomo, il vecchio Beppe, ad innestarle le rose. Tempo dopo, prima che ci lasciasse per sempre, mi portò in quel piccolo pezzetto di terra sassoso, dove Beppe, con notevole maestria, aveva fatto davvero un buon lavoro: c'erano rose bianche, rosse, gialle ad incorniciare un'urna di legno con dentro una piccola statua della Madonna. In quell'occasione Teodora mi guardò e disse: "Ecco le rose della Madonnina".
Poco tempo fa, passeggiando con un amico qui in città, ho visto spuntare alcune roselline fuori delle reti di protezione di un giardino; così, all'improvviso, sotto lo sguardo costernato del mio amico, ho esclamato: "Ecco le rose della Madonnina!".

venerdì 11 maggio 2007

Una bella favola

San Pellegrino in Alpe è un minuscolo paesino situato a 1525 m di altezza, e divide la provincia di Modena da quella di Lucca. Vi sorge un santuario, che si può osservare nella foto a fianco, in cui sono deposte, dentro un'urna, le spoglie di due santi, San Pellegrino e San Bianco. E' proprio la loro posizione nel santuario a dividere le due province: il primo, infatti, è collocato in Emilia e il secondo in Toscana, pur essendo uno di fianco all'altro nel loro riposo eterno.
Il santuario è frequente meta di pellegrinaggi soprattutto fra i mesi di maggio e di settembre, e si tratta in genere di persone provenienti dalle valli circostanti.
Io nacqui a poco più di trenta chilometri da questo paese, in Emilia. Negli anni '50, quando ci capitava di fare il pellegrinaggio al santuario, percorrevamo tutto il lungo tragitto a piedi, fra sentieri stretti e spesso anche ripidi. Era una bellissima avventura.
Io mi ritenevo fortunato perché in genere facevo parte della comitiva di Giorgio, un simpatico ragazzo ventenne che ci guidava e che portava lo zaino con le provviste per il viaggio. Era davvero piacevole poter camminare per tanti chilometri, perché avevamo così l'opportunità di osservare il cambiamento del paesaggio circostante a mano a mano che proseguivamo nel nostro tragitto: prima incontravamo i castagneti poi, salendo, le querce e i cerri e infine i faggi, vedendo i quali sapevamo di essere vicini alla meta.
Giunti a San Pellegrino, Giorgio s'inventava sempre qualche bella favola per noi bambini. Ricordo che una volta m'indicò le foreste che si vedevano in lontananza e mi disse: "Vedi quel punto laggiù? Lì vivono gli gnomi. Sono omini piccoli che abitano in casette minuscole insieme alle loro famiglie. Girano con piccolissimi zaini nei quali ripongono bacche e semi che soltanto loro conoscono. Hanno anche delle chiesette dove si riuniscono e tutti gli animali della foresta sono loro amici, tanto che li avvisano se qualcuno vuole avvicinarsi. Gli gnomi sono sempre sorridenti e felici".
A questo racconto gli dissi: "Ma come fai a sapere queste cose se non li puoi incontrare?". Giorgio mi rispose: "Devi sapere che in quelle vicinanze viveva un vecchio eremita che un giorno ebbe la sfortuna di ammalarsi. Siccome gli gnomi erano a conoscenza dei movimenti del sant'uomo e lo apprezzavano molto, riempirono i loro zainetti di radici ed erbe che soltanto loro conoscevano e andarono nella sua capanna per curarlo, riuscendo a farlo guarire.
L'eremita, con enorme stupore, venne così a conoscenza dell'esistenza di questi piccolissimi esseri. Quando, dopo molto tempo, tornò al convento per morire, raccontò ai confratelli tutte le vicende del suo romitaggio, compresa la storia degli gnomi che l'avevano guarito.Proprio grazie a questi racconti, noi sappiamo che laggiù vivono gli gnomi".

Adesso Giorgio non c'è più, se n'è andato per sempre. Io sono tornato a San Pellegrino in Alpe, e mi sono fermato proprio in quel punto, là dove quel giorno mi fermai con Giorgio ed udii la sua favola. Ho visto in lontananza le belle foreste della Garfagnana, dove vivono gli gnomi, e non li ho disturbati. Mi sono incamminato verso il santuario e ho pensato di raccogliere un fiore per Giorgio. Ma poi mi sono trattenuto, pensando che se avessi strappato uno di quei fiori luminosi e selvatici avrei rovinato tutto: i fiori si sarebbero offesi di fronte ad un simile gesto.
Dopo ho guardato in alto: il cielo, macchiato da una nuvola soltanto, sembrava talmente vicino che avvertivo il desiderio di volare. Allora mi sono improvvisamente ricordato di quando raccoglievamo i mirtilli; così ne ho preso un rametto, l'ho portato nel santuario mettendolo vicino ai due santi deposti nell'urna e ho acceso una candela pensando a Giorgio: l'ho ringraziato per avermi fatto sognare quand'ero bambino. A proposito, io credo ancora agli gnomi!
Grazie Giorgio.

giovedì 10 maggio 2007

L'amico



Questa è una storia assolutamente vera, una storia che non ho mai dimenticato nonostante la mia età non più "verde".
Sono nato in una piccola frazione del Frignano, nell'appennino tosco-emiliano in provincia di Modena. Da ragazzo avevo un gatto al quale ero particolarmente affezionato. L'avevo salvato in un freddo giorno d'inverno dopo averlo trovato nella neve, appena nato, sottraendolo così a una morte sicura. Quando lo raccolsi non aveva ancora gli occhi aperti. Fui io la prima persona a nutrirlo e ad allevarlo. Lo chiamai Ghefo e fummo a lungo inseparabili.
Quando partii per andare a Bassano del Grappa a fare il militare nel corpo degli Alpini, ovviamente dovetti lasciarlo. Ebbi la mia licenza dopo tre mesi, quando finalmente potei tornare al mio paese. Giunto a Modena con il treno, dovetti prendere la corriera per arrivare in montagna. Il viaggio fu lungo e accidentato, visto lo stato delle strade a quei tempi, ma io ero lieto di farlo pur di tornare a casa.
Quando, terminato il viaggio, scesi dal mezzo nella piazza principale del paese, non vidi nessuno ad aspettarmi, nessun essere umano; ma, fatto "strano", del tutto inaspettatamente mi saltò addosso, dapprima spaventandomi, proprio il mio caro Ghefo, l'unico essere vivente in quel momento presente proprio davanti alla corriera ferma. Dopo essermi saltato addosso, si appollaiò sulle mie spalle e lì rimase finché non arrivammo a casa.
Una signora anziana, su un balcone, vide tutta la scena e non riuscì mai a dimenticarla. Da quel momento, ogni volta che passavo davanti a casa sua, mi fermava e mi ricordava stupefatta quanto era accaduto: non riusciva a spiegarsi perché il mio gatto aveva "sentito" che quel giorno sarei tornato a casa. E dire che, prima d'allora, non era mai andato nella piazza del paese in vita sua.

Nel bosco

Passeggiare lungo un viale come questo, in un bosco verde...e perdere la dimensione del tempo.