domenica 29 agosto 2021

Ore antiche

 

Abitavi in un luogo amato solo da poveri poeti solitari e sognatori. Oggi, giorno di primavera e di sole, ripercorro quei sentieri cari a noi due per venirti a trovare come allora. Sui fiori macchie di malinconia, e le falene si posano altrove. Da una sorgente echi di una triste melodia. So che non ci sei più, perché appartieni al cielo e agli angeli. Vago su sentieri e pendii alla ricerca di ore antiche, sapendo di non trovarti. In quel giorno di primavera, il tramonto si colorava del giallo di Turner con sfumature dell'azzurro di Trakl, e di un'ombra divina. Rimanevo confuso e, mentre scendevo, mi accompagnava la quarta ballata di Chopin. 


domenica 22 agosto 2021

L'ultima foglia

 

In quel giorno di tardo autunno l'orizzonte era pallido. Tra un velo di nebbia, rintocchi di antiche ore da una campana. Dai rami denudati e neri cadeva stanca e lenta qualche foglia. Nella dolce tristezza dei boschi spenti, cercavo la tua ombra, e aspettavo le parole del vento. La nebbia s'infittiva, e sui sentieri ammorbidiva le dure pietre. Agli uccelli che volavano per tornare alle loro terre assolate ho chiesto di raccontarti la mia nostalgia, e il pianto di chi ricorda cose lontane. Da una grigia quercia cadeva l'ultima foglia color ruggine. 

domenica 15 agosto 2021

Con i dolci tramonti

 

Sulla terra malata di questa vasta pianura, la luce è crudele, e mi sfugge la tua immagine. L'azzurro del cielo si sta spegnendo, e io mi smarrisco. Cerco quel sentiero che arriva lassù, a quella casa senza voce che attende, sotto lo sguardo delle stelle, l'urlo degli assenti a un passato che sta morendo. Sono confuso, e da solo non riesco a trovarlo. Chiedi il permesso agli angeli, e scendi. Tu che lo conosci bene, accompagnami. Poi torna con gli angeli e non ti recherò più nessun disturbo. 
Rimarrò solo ad aspettare e sognare con i dolci tramonti che si spengono nel cielo. 

domenica 8 agosto 2021

Per chi?

 

Nel silenzio e nell'atmosfera mistica di un giorno autunnale, vagavo nella foresta spenta. Il sole era stanco, e nel cielo qualche pallida nube. Qua e là echi spezzati della tua voce, come un lied del triste Schubert, e ti ricordavo come allora, in quell'oasi nascosta e lontana baciata dal cielo e cullata dalle stelle. So che in questa solitaria foresta, in una sorgente azzurra, il vento ha portato una piccola macchia della tua luce celeste con riflessi di malinconia. Solo agli dèi è permesso di vederla, e al mattino si spegne. Allora penso alle parole di una poesia di Charles Wright, che diceva: "Scrivi, disse la voce. Perché? Fu la risposta. Per i morti che hai amato, venne all'istante la replica". 

Vacanze e mutamenti

 

Questo post è scritto da Romina (G. M.), del blog Oltre il cancello

Questo è un post particolare, frutto di fantasia. Immagino me stessa in vacanza in due momenti storici diversi, il 2021 e il 1987. I gesti e i pensieri non possono essere gli stessi, perché troppe cose sono mutate, intorno a noi e dentro di noi.

Montagna, 2021, vacanze estive. Sono seduta a un bar, è mattina, mi rilasso. Mentre aspetto il dolce e il caffè, invio il buongiorno a una ventina di contatti su Whatsapp. Ho scaricato un’immagine da Google, una di quelle col giorno della settimana già stampato, così auguro a tutti buon lunedì senza nessuno sforzo, senza dover neppure aggiungere un pensiero. Qualche minuto ed è fatto.

Arrivano il dolce e il caffè, comincio a mangiare e ricevo un messaggio su Uozzappa. Guardo e vedo un buon lunedì con un’immaginetta ripresa da Google – facciamo tutti così. Chiudo subito, l’ho appena guardata, non mi soffermo mai più di qualche secondo. Poi, mentre mangio, nuovi squilli che segnalano altri buongiorno. Non li guardo neppure, rimando tutto a un altro momento. Vado su Google, cerco le news, leggo i titoli, tento di capire cosa m’interessa, ma le notizie sono troppe, si accavallano, si rincorrono senza posa. Per fortuna sono in grado di distinguere tra vere notizie e patetici articoli acchiappa clic, ma talvolta questa bulimia di articoletti e post di ogni genere mi fa girare la testa, quasi come se mi trovassi in mezzo a un chiasso infernale. Mi stanco presto e chiudo Google. Finita la colazione m’incammino per una passeggiata. Pochi passi, squilla il telefono, stavolta rispondo. Due o tre parole per confermare il mio ritorno a casa a mezzogiorno circa. Continuo a camminare, mi arrivano altri messaggi, foto di amici e parenti in vacanza, abbronzature, arie felici. So tutto quello che fanno, brevi messaggi m’informano di ogni cosa. Intanto cammino, il paesaggio è meraviglioso e posso sbizzarrirmi a fotografare gli angoli che preferisco, senza limiti di nessun tipo. Al massimo scarterò le foto peggiori. Poi arriva l’ora di tornare a casa. Non ho portato la macchina, ma poco importa: sui bus si viaggia bene, sono silenziosi, puliti e c’è persino l’aria condizionata.

Montagna, 1987, vacanze estive. Sono seduta a un bar, ad alcuni chilometri da casa. Aspetto il dolce e il caffè e, nel frattempo, sfoglio alcune riviste che ho comprato all’edicola qui vicino. Mi piace il profumo della carta dei giornali ancora nuovi, tanto che spesso avvicino le pagine al volto per poterlo sentire meglio. Il mio rapporto con la lettura e la scrittura, infatti, è fisico, intensamente carnale: devo toccarle, le pagine, devo sentirle con il tatto e l’olfatto, sono oggetti concreti preziosi. Non finiranno subito nella spazzatura, alcune riviste si salveranno, le rileggerò, poi forse ne darò una o due a qualche parente. Facciamo sempre così, ce le scambiamo, è un’abitudine.

A un certo punto mi alzo e vado a passeggiare. Mi vengono in mente le amiche lontane, qualcuna al mare, qualche altra in montagna; ci rivedremo fra un mese circa e parleremo delle vacanze, racconteremo qualche sciocchezza, ci lamenteremo della noia di certe giornate. Poi ricominceremo con i nostri svaghi, gli incontri della domenica pomeriggio, le vasche in centro storico. Ma intanto sono qui, sto bene, il tempo scorre a rallentatore, le vacanze sembrano infinite, e questa lontananza da tutto e da tutti, questa lunga pausa, non può che farmi bene.

Adesso mi piacerebbe scattare qualche foto, e allora devo scegliere bene, devo concentrarmi sui panorami più belli, perché non voglio usare più di un rullino. Le cartoline, invece, le acquisterò la prossima settimana con calma, quando tornerò a comprare altre riviste. Dopo un’ora di vagabondaggio e di pensieri lenti, vado alla fermata della corriera. Per fortuna il viaggio è breve, perché l’odore di benzina, sul mezzo, è molto fastidioso. Ma il percorso sarà piacevole, mi sentirò in compagnia, perché in corriera nessuno si preoccupa di parlare a voce bassa e c’è sempre qualche estraneo che mi rivolge la parola.

domenica 1 agosto 2021

Telefono pubblico

 

Post scritto da Romina (G. M.), del blog Oltre il cancello

Ebbene sì, eccola qui la cabina telefonica dei miei tempi. L’ho citata persino in qualche vecchio post, questa mitica cabina situata all’entrata del parco di viale Buon Pastore. Ricordo quando a volte, da adolescente, me ne servivo durante i lunghi pomeriggi di giugno trascorsi fuori casa. I cellulari non c’erano e quindi le possibilità erano soltanto due: entrare in un bar e telefonare da lì oppure usare queste cabine, che all’epoca sembravano un trionfo di progresso insuperabile. Mai avremmo immaginato che, dopo pochi anni, sarebbero diventate oggetti quasi obsoleti, da guardare con un po’ di commozione.

Le tracce materiali del passato sono sempre rassicuranti, specialmente in un’epoca di enormi trasformazioni, di cambiamenti rapidissimi. Ammetto che, qualche volta, anch’io mi sento come quella cabina solitaria rimasta senza porta: un po’ fuori moda, a mio agio e in difficoltà nello stesso tempo, dentro al mondo e fuori di esso – come vivere lungo un confine incerto, di fronte a un paesaggio evanescente. Ma va bene così, deve essere così quando gli anni passano, le memorie si accumulano e si ricordano tempi lontani, ritmi diversi, valori quasi scomparsi.

Non vorrei tornare indietro; la retorica dei bei tempi andati non mi appartiene. Però mi piacerebbe trascorrere una breve vacanza nel passato: mi basterebbe un fine settimana ogni mese, soltanto per recuperare la me stessa di ieri – ciò che ero e mai più sarò -, e rivivere atmosfere definitivamente perdute, dissolte dall’impietoso scorrere del tempo.

Ma visto che ciò è impossibile, mi accontento di contemplare la mia bella cabina telefonica, impolverata e stanca, immobile sotto il sole e la pioggia, abituata a sopportare tutte le intemperie.

Gare du Nord

 

Lassù, in quel piccolo borgo dove qualcuno mi portò da bambino, sono rimaste quattro case vuote, e vi gioca il vento. L'aia è invasa da sterpaglie, tra le ortiche spuntano scheletri di attrezzi agricoli e le rondini volano altrove. Nella fontana, si specchiano le ombre e scorrono lacrime. Roselline selvatiche e gentili si sono aggrappate ai sassi della Maestà cadente, e disperate cercano di raggiungere il volto della Madonna. Noi abbandonammo borghi e paesi dai cieli azzurri, perché ci dissero che nelle città l'avvenire era roseo. Ora tutti gli amici sono scomparsi. Vivevano nelle periferie delle città, o ai bordi dei grandi complessi industriali, dove il cielo è perennemente grigio e gli angeli hanno sprangato le porte. 

Sono vecchio e da sempre porto con me una visione e una certezza. Ricordo un ragazzo come me, con gli occhi colorati da un'immensa malinconia, che usciva con una valigia consunta dalla Gare du Nord di una città francese. Aveva fretta e non ci salutammo, e le onde del vicino oceano rumoreggiavano. Capii che quel ragazzo sarebbe vissuto sempre esiliato.