Questa è una storia vera, di altri tempi, e raccontata oggi fa sorridere. Erano gli anni Cinquanta del secolo scorso. In un borgo solitario dell'appennino tosco-emiliano, un vecchio era tornato dall'Argentina. Certamente non aveva trovato fortuna. Parlava ancora il dialetto con qualche difficoltà, e lo chiamavano l'Argentino. Sistemò in qualche modo la vecchia casa, ormai in condizioni disastrose. Sradicò ortiche, erbacce e sterpaglie da un fazzoletto di terra, dove fece un orto. Aggiustò una vecchia panca e una sedia, e le portò sul portico. Sulla sedia mise un grammofono, e, prima del tramonto, era solito sedere con il gatto sulle ginocchia, mentre ascoltava un tango. Io ero un bambino, e sia lui che il gatto si affezionarono a me. Il vecchio ascoltava e rispondeva alle mie domande, con pazienza e interesse.
Quell'uomo era arrivato in silenzio e in silenzio se ne andò in un giorno d'estate, quando il sole è duro a morire. Al tramonto, arrivò il curato del paese per recitare il rosario. Io ero sul portico con il gatto, che non mi abbandonava. Qualcuno chiese al curato se fosse possibile ascoltare un tango, o se fosse peccato; il prete rispose che era possibile e si fermò ad ascoltare.
A me rimase il gatto e il ricordo di quel tango.
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