A quei tempi i paesani si riunivano all'osteria per organizzare in grande la festa di Carnevale, in modo che anche il capoluogo e le varie frazioni limitrofe ricordassero l'evento.
Siccome il denaro contante scarseggiava, ogni famiglia portava qualcosa per contribuire al lauto pasto del cenone del giovedì grasso: galline, polli, carne di maiale, torte, panettoni e dolci fatti con farina di castagne. Si preparavano anche tortellini, lessi e arrosti vari, e l'oste forniva il vino facendolo arrivare appositamente dalla pianura.
La festa iniziava di pomeriggio. Nella piazzetta del paese veniva allestito un palco fatto con tavole di pioppo e ricoperto da teloni colorati. Qui in genere si raccontavano storie, quelle che chiamavamo in dialetto zirudelle, cioè versi in rima riguardanti fatti accaduti ai paesani durante l'ultimo anno. Ogni zirudella era poi accompagnata da un motivo musicale, suonato con fisarmonica, chitarra e clarino.
Di sera ci si riuniva in un garage trasformato in sala da pranzo, e si mangiava a sazietà, felici e convinti di essere gli unici, in tutto il Frignano, a organizzare una simile festa.
La sera successiva a questo lauto banchetto, ci s'incontrava sempre nel medesimo garage liberato da tavoli e sedie, e trasformato in sala da ballo. Qui i suonatori trovavano posto su un baldacchino approntato per l'occasione, e avevano dolci e vini a portata di mano che consumavano tra una canzone e l'altra.
Una volta successe che, al culmine delle danze, il palco improvvisamente crollò, e uno dei suonatori malauguratamente si slogò una gamba, causando l'interruzione forzata dell'allegra festa. Questa notizia si diffuse nei paesi vicini, e così qualcuno si divertì a preparare un'ironica zirudella, il cui testo era questo: quando arriva il Carnevale, ballando vi fate male; e se fra un anno volete ancora festeggiare, venite da noi ad imparare.
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